Gli stipendi diventano molto più pesanti: la Cassazione vieta le trattenute “furbe” del datore di lavoro

Una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito il divieto di addebito dei costi amministrativi ai dipendenti da parte del datore di lavoro in caso di cessione del quinto.

La cessione del quinto è un tipo particolare di prestito garantito rivolto ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Essa permette di ottenere prestiti e finanziamenti da restituire ratealmente tramite la trattenuta di una rata pari al massimo a un quinto del proprio stipendio o della propria pensione.

Cessione del quinto
La Corte di Cassazione ha stabilito illegittimo l’addebito dei costi amministrativi per la cessione del quinto ai danni del lavoratore (Varesecultura.it)

Molto spesso chi necessita di prestiti o finanziamenti fa ricorso a questo strumento. Tra i vari tipi di prestito di Poste Italiane, ad esempio, troviamo il Quinto Banco Posta, con cui dipendenti pubblici e para-pubblici e pensionati possono ricevere finanziamenti da restituire a rate in un massimo di 10 anni. Nonché accedere a una serie di coperture assicurative i cui costi sono a carico dell’istituto che eroga il finanziamento.

Insomma, alla cessione del quinto si fa spesso ricorso e proprio per questo la sentenza della Corte di Cassazione di cui vogliamo parlarvi non fa scalpore. Quanto piuttosto conferma una condizione che, anche a livello intuitivo, sembrerebbe piuttosto chiara.

Ti addebitano i costi amministratiti della cessione del quinto? La Corte di Cassazione ha detto no

In particolare vogliamo attenzionare il caso di un lavoratore dipendente che si è rivolto a un giudice del lavoro dopo aver notato un addebito piuttosto strano sulla propria busta paga. Dopo aver chiesto un prestito con cessione del quinto, infatti, il dipendente si è visto addebitare i costi amministrativi della pratica da parte dell’azienda.

Martelletto tribunale
La Corte di Cassazione ha dato ragione a un lavoratore: la sua azienda dovrà risarcire dei costi ingiustamente addebitati al lavoratore (Varesecultura.it)

Si è dunque rivolto a un giudice che gli ha dato ragione in primo grado. La società ha poi fatto ricorso alla Corte d’Appello di Milano, la quale ha però confermato la prima sentenza. Non paga l’azienda ha presentato un nuovo ricorso e così facendo il caso è finito nelle mani della Corte di Cassazione.

Anche quest’ultima, però, ha confermato le due sentenze precedenti, dando ragione al lavoratore. Nello specifico la Suprema Corte ha stabilito che le pratiche relative alle cessioni del quinto fanno parte dell’ordinaria amministrazione della contabilità delle aziende, ad esempio al pari del calcolo degli stipendi e delle ferie. Pertanto l’addebito di questi costi al lavoratore è stato ritenuto illegittimo.

Ha altresì stabilito che i “costi ingiusti, intollerabili o sproporzionati” addebitati al lavoratore sono “meritevoli quindi di essere ristorati“. Tutto è bene quel che finisce bene!

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